Accessibilità museale
Accessibilità significa creare le condizioni affinché i musei possano essere visitati da quante più persone possibili: un approccio che ci si augura attraversi le organizzazioni trasversalmente.

PER UNA NUOVA ACCESSIBILITÀ
Il testo completo è pubblicato sul sito di Hangar Piemonte
L’accessibilità museale è un metodo e insieme un processo per rimuovere le barriere che limitano la partecipazione delle persone al museo.
La declinazione più attuale della materia promuove il confronto con il presente, nel tentativo di rispondere alle principali trasformazioni che attraversano le nostre società occidentali: fra le altre, il progressivo invecchiamento della popolazione, le migrazioni inevitabili, l’impatto del digitale sulla sfera cognitiva, l’accettazione dell’identità quale costrutto fluido e insieme culturale. Prendere coscienza di questi aspetti significa riconoscere nuove esigenze e declinarle nelle pratiche, mettendo a fuoco che coloro che visitavano i primi musei due secoli fa non sono più le stesse persone di oggi, non bastasse che la diversità è finalmente considerata il loro tratto dominante.
Più di tutto si tratta dunque di approfondire i modi in cui sono recepite le differenze, in un distinguo silenzioso (perché tabù) fra ciò che consideriamo la norma e ciò che rappresenta un’eccezione: questo concetto, modulato negli spazi di un qualsiasi museo, restituisce generalmente l’immagine di un percorso principale, spontaneamente accessibile, punteggiato da una serie di soluzioni perlopiù strumentali, compensative e accessibili per pochi.
Nella realtà, questa materia non può più essere percepita come una risorsa separata, per quanto sia corretto veicolare anche strumenti e soluzioni ad hoc per destinatari diversi. L’accessibilità guarda i percorsi nella loro complessità tentando, fra le tante, di massimizzare l’autonomia delle singole persone, offrendo l’opportunità di scegliere fra contenuti e comunicazioni molteplici, altresì scardinando la consueta gerarchia dei sensi. Occuparsi di rimozione delle barriere vuol dire immaginare orari di apertura diversificati, riscrivere le didascalie, considerare le povertà educative ma anche adottare lingue diverse, soprattutto quelle parlate da chi vive nel territorio; l’accessibilità prende forma attraverso il contributo dell’arte contemporanea ma considera anche l’esigenza di raccontare, tramite gli oggetti, altri modi di stare al mondo senza confinarli, come più spesso accade, alla sola agenda delle minoranze.
L'ACCESSIBILITÀ ATTRAVERSA LE ORGANIZZAZIONI IN MODO TRASVERSALE
Tale apertura, nel più generale dibattito internazionale sui pubblici dei musei, sta ulteriormente sfidando i confini della disciplina nel tentativo di rimuovere anche le barriere invisibili, con una prospettiva a lungo termine. Per questo, si tratta innanzitutto di mettere in discussione i modelli organizzativi, condividere pratiche e responsabilità con tutto il personale ma soprattutto definire una strategia con chi occupa ruoli decisionali. Osservare soltanto le limitazioni che possiamo riconoscere nelle sale, all’entrata, o anche nel sito web, rimuovere solo quelle, non può fornire un contributo davvero efficace perché soggetto a troppe fragilità: e questa è una conquista – quantomeno teorica – abbastanza recente.
Inoltre, si ritiene che una delle ragioni della grande omogeneità dei pubblici stia anche negli ostacoli che, a monte, limitano l’accesso alle professioni culturali. Soltanto cercando di ribaltare le opportunità di lavorare nel settore potremo diversificare le nostre proposte e renderle accessibili. Si pensi anche solo alle barriere socio-economiche quali i costi e le barriere dell’università, quelle che accompagnano anni di stage mal retribuiti, nonché l’insostenibilità di un mercato del lavoro asfittico: sono pur sempre temi di accessibilità. E poi ancora, le barriere alla formazione che limitano le persone in relazione alla disabilità, alle questioni di genere, all’orientamento sessuale, al background culturale, all’origine geografica. Il tema della diversity è sempre più centrale anche in Italia, soprattutto in ambito aziendale. Nel mondo della cultura richiede però valutazioni ancora più complesse: incentivare la diversità interna talvolta è difficile perché le barriere del sistema hanno reso impossibile a molti inseguire quel desiderio. Quello che serve, dunque, sono soprattutto politiche lungimiranti.
Oltre alle norme, serve orientare una mentalità: prima ancora dei luoghi della cultura le barriere limitano appunto il diritto al lavoro, ma anche all’abitare, i modi in cui si impara a scuola, l’accesso alla sanità pubblica, i trasporti; discriminano i modi in cui le persone si relazionano fra loro, si muovono, parlano, comprendono. Occuparsi di accessibilità, più di tutto, assume così un indirizzo inevitabilmente di tipo politico. È il ruolo che la nostra società assegna, in senso lato, alla cultura: a cosa serve? A chi spetta il patrimonio dei musei? Con quali criteri escludiamo alcuni? Ma anche: loro chi sono? E quel “noi” chi comprende? Vogliamo che cambi nel tempo? sono solo alcune delle domande che introducono questi discorsi.
ACCESSIBILITÀ: PER CHI?
Una risposta possibile riguarda i possibili destinatari, nonostante le molte ambiguità. Quello che sappiamo con certezza è che il dibattito sulla rimozione delle barriere nasce negli anni ‘70 a fronte delle battaglie per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, incrociando anche le rivendicazioni di altri gruppi sociali, in un percorso lungo e ancora da compiersi. Le barriere che limitano la partecipazione a persone con disabilità sensoriale, cognitiva e fisica sono fra le più invalicabili e necessitano di saperi, esperienze e professionalità specifiche capaci di rinnovare l’offerta attuale.
Allo stesso modo però circoscrivere la disciplina a questa sola tipologia di interventi risulta discutibile non soltanto rispetto ad un’indagine che deve farsi sicuramente più complessa – si pensi alle barriere economiche, linguistiche o culturali solo per citarne alcune – ma soprattutto perché questo approccio rafforza un distinguo fra in-group e out-group, così come ci insegna la psicologia sociale.
Il risultato è che a oggi le progettazioni più diffuse si limitano a considerare alcune persone come caratterizzate unicamente dalla propria disabilità: una definizione possibile – e che oggi alcuni rivendicano – ma che richiede comunque delle accortezze, considerato come nella varietà dei contesti la disabilità patisce tuttavia una spaccatura e un’esclusione sociale profonda. Anche per questo l’accessibilità oggi si rivolge a quante più persone possibili, circoscrivendo le regole assolute, consapevole dei rischi e degli ostacoli spesso sovrapposti che la maggior parte incontra in situazioni e fasi diverse della vita.
QUALE FUTURO
Esplorare nuove traiettorie di senso, decostruire le pratiche, interrogarsi su funzioni e ricadute, ripensare le narrative tradizionali merita sempre di più di indirizzare il lavoro di ogni spazio culturale in modo stabile, coinvolgendo pienamente tutti e tutte coloro che ci lavorano. Accettare questo presunto disordine e farlo diventare spazio di ricerca è forse ciò che più possiamo desiderare per il settore museale, e questo a prescindere dal considerare l’accessibilità essenziale